giovedì 9 ottobre 2008

Diamoci un taglio


Tra i tanti misteri dell’emisfero femminile c’è quello del “parrucco”. E’ strano come la donna spesso e volentieri sia insoddisfatta dei propri capelli e conceda consenziente la propria testa alla mercè dell’ultimo hair stylist di grido.
Le variabili di questa mancata soddisfazione sono molteplici: colore, lunghezza, mosso/liscio… comunque una non accettazione della natura del capello che ogni singolo individuo ha ereditato. L’apice viene raggiunto con la piega. E’ in questa tortura che il capello si ribella solennemente per tornare alle proprie origini. Nonostante ciò la donna non si arrende, anzi rincara la dose facendosi versare sulla testa shampoo, balsami, lozioni, unguenti di ultima generazione e chi più ne ha più ne metta, nella speranza che prima o poi qualcosa succeda. Ma non è tutto poi ci sono le piastre, asciugacapelli con potenze da galleria del vento, capelli al cartoccio e chissà quali altre stravaganti invenzioni a noi sconosciute. In tutto questo poi c’è il problema di quanto torniamo a casa noi e dobbiamo essere pronti e reattivi nel (in sequenza): a) capire che intanto è stata dal parrucchiere b) non pronunciare MAI termini come “carino”, “non stai male” o sinonimi vari c) non chiedere MAI quanto ha speso Perché se per noi tagliarsi i capelli è una funzione relativa e intende proprio quello, andare dal barbiere/parrucchiere e chiedere la “spuntatina” o al massimo “fai tu”, per loro è tutt’altra cosa a noi sfortunatamente (fortunatamente, dipende dai punti vista) sconosciuta. Beato il tempo in cui le donne usavano i bigodini per farsi la permanente e giravano liberamente e allegramente per casa nell’attesa che tornasse il loro dolce amor.

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