lunedì 7 settembre 2009

Fatto, saputo fare, potuto fare


Il ristorante era semideserto. Una coppia di poche parole, un gruppo di apparenti amici e una reunion famigliare composta da tre generazioni: nonno, figlio di mezza età e nipote da poco maggiorenne.

Da quest'ultimo tavolo, il mio sguardo viene attratto. In particolar modo dal capostipite di questa famiglia. Lineamenti ben marcati, pelle abbronzata dal sole della terra, mani grandi in continuo movimento nel tentativo di rafforzare parole che scorrono in tono solenne e autoritario senza permettere un contraddittorio.

Sto assistendo ad un sermone che trova il suo gran finale in una frase che riecheggia nella spoglia sala da pranzo "... posso essere completamente soddisfatto della mia esistenza perché ho fatto, ho saputo fare e ho potuto fare...".

Una frase a suggello di una gloriosa visione della propria vita. Niente pentimenti. Nessuna incertezza. Una ferma sicurezza.

Gli occhi del figlio si abbassano sul piatto vuoto in forma reverenziale. Quelli del nipote si alzano al cielo come in una preghiera che il supplizio abbia un veloce termine.

Chissà se con meno presunzione, questo monologo e apporto di esperienza si sarebbero potuti trasformare in un dialogo costruttivo e un confronto reale sulla esigenze e difficoltà di generazioni diverse. Chissà.
Intanto arriva il conto.
La cena è finita e ben poco rimarrà di questa serata ai partecipanti di questo banchetto.

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