mercoledì 30 giugno 2010

Cristiana e Antonio: due "strani" architetti - Parte seconda

Immagine del progetto Seawater Vertical Farm di studiomobile



ILBETTA: “Ma quindi è nato da queste osservazioni, da queste considerazioni legate alla scarsità di risorse primarie Seawater Vertical Farm?”

Antonio: “Bé, sono i problemi con cui bisogna fare i conti oggi. Il sistema del cibo globalizzato è il più grande inquinatore. Produce più CO2 dell’industria se sommiamo la deforestazione, la refrigerazione, il trasporto e l’impacchettamento del cibo. La grande sfida oggi è trovare un sistema economico e efficiente per produrre cibo vicino a chi poi dovrà effettivamente mangiarlo. Se poi si riesce a non gravare sulle risorse idriche esistenti… La SWVF usa acqua di mare per raffrescare e umidificare le serre, condensando l’umidità in eccesso in acqua dolce per irrigare le piante. Il tutto sfruttando passivamente le risorse naturali: sole e acqua di mare.”


ILBETTA: “Come si è instaurata una collaborazione così importante negli Emirati Arabi? E quali sono state le fasi di sviluppo di un progetto così articolato?”

Cristiana: “Siamo arrivati negli Emirati Arabi con una multinazionale Europea con cui io ho lavorato a lungo, L’Oreal. Loro ci hanno introdotto e presentato alcune famiglie locali che finanziano progetti di ricerca legati allo sviluppo della regione. Da qui abbiamo collaborato con team internazionali che fanno ricerca in tutti i campi, dalla tecnologia, alla biologia, al marketing, agli impatti che avrà lo sviluppo sulla società.”


ILBETTA: “Mi sembra di cogliere che avete un approccio multitasking, interdisciplinare all’architettura. Affrontate un progetto di progettazione, prendendo spunto da altre discipline. Vedo spunti economici, di comunicazione e addirittura umanistici. Ma ad esempio tu Antonio, che lavori anche nel dipartimento di Tecnologia dello IUAV di, da dove hai attinto queste tue sfaccettature filosofiche?”

Antonio: “La distinzione tra attività tecnica e attività umanistica è un’invenzione recente. Nel Rinascimento erano semplicemente attività del sapere. La tecnologia slegata dalla conoscenza dell’uomo, delle sue esigenze e dei suoi sogni prende un percorso a se stante. Diventa un mostro che genera mostri e brutture. Guarda le nostre città…”


ILBETTA: “Antonio se ti dico civitas, cosa mi rispondi?”

Antonio: “I romani non distinguevano nemmeno linguisticamente tra città e società, tra l’insediamento fisico e chi in quell’insediamento viveva, modellava e ne era modellato. C’è sempre stato un rapporto diretto tra città e società. Società brutte creano città brutte, ed è vero anche il contrario.”


ILBETTA: “Invece per te Cristiana, quanto è stato importante per quello che stai facendo oggi, vivere per un periodo in una città così particolare come Barcellona?”

Cristiana: “ Barcellona è un melting pot di culture di stili, di creatività. E’ stata una delle più importanti città europee degli ultimi vent’anni. Per un architetto, in quanto creativo, è importante vivere nel cuore del contemporaneo. E Barcellona è una città da cui puoi solo lasciarti travolgere…”


ILBETTA: “Da incompetente in materia architettonica, ma con una forte curiosità da uomo della strada, mi capita spesso di chiedermi perché spesso si costruiscono delle cose esteticamente brutte. Ora voglio rigirarvi la domanda. Dal vostro punto di vista quand’è che una struttura è bella?”

Antonio: “Il concetto di bello il più delle volte viene equivocato. Si pensa che sia qualcosa di irrazionale e ineffabile, quando è solo una risposta del cervello a qualcosa che trova adeguato. Per esempio ho letto uno studio che dimostra che i tratti fisici di donne e uomini che consideriamo belli altro non sono che l’indicazione di sanità fisica e garanzia quindi che producano una prole sana. La stessa cosa in architettura. Bello è ciò che sentiamo adeguato. A un luogo, a una funzione, a delle esigenze, a un tempo storico. Perciò le nostre costruzioni le troviamo orribili perché abusano del territorio, sono costruite con tecniche obsolete, non sono efficienti e molto spesso invivibili. Magari utilizzano anche un linguaggio fintamente classico che del classico non conosce la storia, i materiali e quindi alla fin fine, il senso ”

Cristiana: “Il bello è ciò che è giusto.”


ILBETTA: “E cosa mi dite della somiglianza in negativo tra molti edifici pubblici. Scuole, ospedali, tribunali sono tutti uguali: delle scatole, dei capannoni. Perché non hanno una loro specifica identità coerente anche con la funzione che devono avere?”

Antonio: “L’architettura è una forma di comunicazione di massa. Il linguaggio che si utilizza per un edificio riflette l’idea che la società ha delle funzioni che in quell’edificio si svolgono. Sedi comunali, tribunali, scuole vengono costruiti con le stesse tecnologie, le stesse forme e lo stesso linguaggio dei capannoni, principalmente perché l’attività che vi si svolge dentro è sentita come un’attività tecnica. Qui non alberga più la cultura, ma la tecnica.”


Domani la terza ed ultima parte dell'intervista

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao..a questo punto mi chiedo…relativamente al concetto di bello,che condivido pienamente.
a questo punto l.aspetto “artistico” (vedi le più recemti costruzioni fatte da “grandi” architetti per stupire nell.originalità-io direi piuttosto sconvolgere! rispetto all.ambiente ed al miei sensi)viene ad avere una valenza secondaria…al massimo direi che si può parlare di sensibilità,equilibrio ed un pizzico di fantasia.
che ne dite???
grazie. valeria

valeria-danzonelvento ha detto...

sbaglio sempre:( son io l.anonimo di cui sopra

Anonimo ha detto...

Una coppia da toglere il fiato e stimolare la ricerca del bello all'infinito... complimenti !!!ciao ciao