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martedì 30 marzo 2010

Chi non salta


Che tristezza.
Già la campagna elettorale, sempre che siate riusciti a vedere qualcosa, era sintomatica della pochezza dell'attuale scenario politico italiano. Ora mentre sto scrivendo tra proiezioni, dati ufficiali e altri ufficiosi si sta per compiere in maniera definitiva quella "patologia" che mi piace definire come sindrome da stadio.

Vincitori e vinti si contendono i microfoni delle redazioni giornalistiche commentando in perfetto stile calcistico da dopo partita gli accadimenti elettorali. Sorrisi di compiacimento, frasi di circostanza, manca solo che qualcuno nella concitazione dica "è stata tutta colpa dell'arbitro che ha fischiato un rigore inesistente" e poi il gergo da spogliatoio sarebbe completamenente adottato.

D'altra parte in una situazione di fantapolitica come quella odierna, non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso. Qualcuno di voi ha sentito parlare di programmi (che non siano quelli televisivi), di soluzioni concrete per affrontare la crisi economica, di politiche di rilancio, sanità, ambiente, scuola e cultura?
No, le impellenze erano altre. Le grida da stadio soffocavano le parole sensate qualora ce ne fossero rimaste. Le incitazioni a "sei con noi o sei contro di noi" stordivano. Gli slogan elettorali erano dei perfetti striscioni da curva.

E' questa la politica?

Chissà magari i prossimi comizi li faranno direttamente negli stadi. Ancor meglio se dopo la serie A, la Champions League e i Campionati del Mondo trasformassimo le future tornate elettorali in un campionato di calcio si risparmierebbe del tempo. Le squadre ci sono già, i tifosi pure e poi non si sa mai che dai diritti televisivi la RAI dopo l'oscuramento dei talk-show politici, riesca a racimolare un po' di denari.

Intanto iniziamo a scaldarci con i cori "chi non salta...".


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martedì 23 giugno 2009

A colpi di Slogan



Ancora una volta possiamo dire "che vinca lo slogan migliore".

Questa è la sintesi di quello che ci circonda.
La politica (quel che resta) ne ha fatto il suo cavallo di battaglia. La società si è assuefatta a questa modalità per comunicare. Il pensiero viene soffocato da parole preconfenzionate. Non ci s'interroga più sui perché delle cose. A domanda si risponde con frasi di rito, prese in prestito da altri. Inventarne di nuove richiederebbe uno sforzo eccessivo.

Questo sistema viene adottato per tutto. Dal lavoro ai sentimenti.

Forse è giunto il momento di spegnere i ripetitori. Un po' di silenzio. Una pausa di riflessione e le parole poi, quelle vere, usciranno da sé.

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