mercoledì 13 luglio 2011

Dai e vai

Dai miei ricordi da cestista (dalla grande passione, ma dal poco talento), ogni tanto riemerge il nome di un piccolo schema, un movimento di gioco, nominato "dai e vai". Da un punto di vista sportivo non era niente di che. Si passava la palla al compagno, per poi tagliare verso canestro. Ma mi è sempre piaciuto cosa stava dietro al nome di quella azione.


In un certo qual senso poi, ho cercato di applicarlo anche alla mia intera esistenza. Quel senso del dare incondizionato. Dare agli altri per poi andare, proseguire il proprio percorso. Non è mai stato fondamentale se poi era il compagno di vita, l'amico di turno a segnare. Ciò che importava invece era fare al meglio ciò che si era in grado di fare. Mettere nelle condizioni se stessi e gli altri affinché da un'azione corale si ottenesse il risultato migliore.


Questa del "dai e vai" è una metafora che ho portato avanti negli ambiti più diversi. Nel lavoro, inteso come gruppo di lavoro, team nel quale ognuno può/deve dimostrare il proprio talento. Nei rapporti sociali dove ognuno fa parte di qualcosa di più grande e dove vige il rispetto dell'individuo, ma allo stesso tempo la consapevolezza del gruppo.


Forse di canestri non ne ho segnati molti in passato. Anche perché il mio tiro era alquanto scadente, però su una cosa credo di aver fatto modificare il mio referto di gioco. Lo spirito di squadra. L'uomo spogliatoio. Colui che faceva diminuire la tensione del match, ricordando che si trattava pur sempre di un gioco, senza per questo inficiare l'agonismo che doveva essere presente.


Sempre e comunque in un'ottica di "dai e vai".


E ora time out. Mi prendo un caffè.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Betta attento che ti porto un "blocco" !!!

bykareemabdulmarkus

Anonimo ha detto...

Concordo! E' bello il "vai" del "dai e vai", perchè offri al compagno la possibilità di ripassartela in una zona dove c'è alta probabilità di segnare.
Quindi la dai incondizionatamente, per poi riproporti di nuovo per segnare per la squadra