Istinto canoro incontrando il
leader dei Talking Heads
La
tentazione di intonare un “fa fa fa fa fa fa fa fa fa far better” è tanta. E’ lì solo. Seduto su una poltrona che
ha poco dell’ergonomico. Il portatile acceso davanti a sé invece sembra una
tastiera musicale per come sfiora le dita sulle lettere. Sul piccolo e tondo
tavolino anche un lungo bicchiere trasparente. Visto l’orario, le tredici e
trenta, più che un gin tonic tutto lascia intendere che sia acqua, allorché
priva di bollicine, naturale. Una cannuccia rosa troneggia, facendoci largo tra
una fettina di limone.
In
giuria alla 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematorgrafica di Venezia,
questa sua apparizione al bar dell’Hotel Excelsior non ha del miracoloso.
Piuttosto lascia stupiti la tranquillità, quasi indifferenza, con la quale i
presenti non si accorgano della sua presenza.
A
lui non sembra dispiacere la cosa. Anzi, se non fosse lì come giurato,
sembrerebbe nell’intento di essere ispirato. Per una canzone. Una colonna
sonora. Un’opera musicale. Proprio il suo sguardo alternativamente rivolto
verso l’alto per poi essere riposizionato in direzione del monitor, fa capire
che c’è qualcosa. Ogni tanto la fa pure roteare chiudendo gli occhi.
Sono
affascinato da tanta energia creativa. Sto per abbandonare la stanza, quando un
unico battito di mani accompagnato dall’esclamazione “finally!” mi blocca.
Mi
volto e vedo lui con faccia compiaciuta per l’eliminazione di una zanzara.
Avrei
preferito lasciarlo prima. Piccoli frantumi di un momento poetico si
disseminano in me. Giro i tacchi e me ne vado. Non prima però di intonare un “fa
fa fa fa fa fa fa fa fa far better”.
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