Allegria e tristezza trovano
il giusto spazio nel film Dark Horse
Già
in Todd Solondz, regista di Dark Horse, veleggia una malinconica dolcezza.
Quella sensazione di trovarsi di fronte ad un uomo che ha mantenuto una sua innocenza
e che fa buon uso della sensibilità di cui è ben dotato.
Poi
quando inizia a raccontare di questo suo nuovo film a stento si capisce se
faccia riferimento alla storia diretta, oppure se della storia lui stesso ne
sia protagonista.
<<…
non so se i sogni mi hanno aiutato a vivere meglio>> racconta ad una sala stampa, attenta più
di altre volte, a non interrompere quell’alone di magia, creatosi attorno a
questa presentazione.
Il
tutto è racchiuso in questa tipica espressione americana, che poi da pure il
titolo al film medesimo. Dark Horse, termine difficilmente traducibile. Forse
“scommessa’ potrebbe essere quello che maggiormente gli si avvicina, anche se
in modo piuttosto limitativo.
<<Dark
Horse è un piano sequenza in un certo senso… >> spiega Solondz
aggiungendo <<… si utilizza per parlare di una persona che potenzialmente
potrebbe arrivare al successo, ma non lo raggiunge…>>.
Il
personaggio narrato nel film è di un’impattante tenerezza. È una persona che è
stata vittima si una serie di sfortune. Proprio questa serie di negativi
accadimenti, fanno del protagonista un soggetto da amare. Amore che non riesce
a trattenere gli occhi della sua segretaria nei suoi confronti.
In
questa sua ossessione da collezionista, lo stesso protagonista diventa proprietà
della collezione medesima. A nulla serve il tentativo di afferrarsi ai suoi
sogni. Aperto rimane il conflitto di rimanere bambino nonostante l’essere
adulto.
Come
sottolinea il produttore stesso di Dark Horse, Ted Hope - <<… è un film
tremendamente triste e allegro allo stesso tempo…>>, ma forse è proprio
in questo equilibrismo di sentimenti contrapposti che trova il grimaldello per
emozionare lo spettatore.
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