lunedì 5 settembre 2011

VENEZIA68 - I SOGNI INFRANTI DI TODD SOLONDZ


Allegria e tristezza trovano il giusto spazio nel film Dark Horse


Già in Todd Solondz, regista di Dark Horse, veleggia una malinconica dolcezza. Quella sensazione di trovarsi di fronte ad un uomo che ha mantenuto una sua innocenza e che fa buon uso della sensibilità di cui è ben dotato.

Poi quando inizia a raccontare di questo suo nuovo film a stento si capisce se faccia riferimento alla storia diretta, oppure se della storia lui stesso ne sia protagonista.

<<… non so se i sogni mi hanno aiutato a vivere meglio>> racconta ad una sala stampa, attenta più di altre volte, a non interrompere quell’alone di magia, creatosi attorno a questa presentazione.

Il tutto è racchiuso in questa tipica espressione americana, che poi da pure il titolo al film medesimo. Dark Horse, termine difficilmente traducibile. Forse “scommessa’ potrebbe essere quello che maggiormente gli si avvicina, anche se in modo piuttosto limitativo.

<<Dark Horse è un piano sequenza in un certo senso… >> spiega Solondz aggiungendo <<… si utilizza per parlare di una persona che potenzialmente potrebbe arrivare al successo, ma non lo raggiunge…>>.

Il personaggio narrato nel film è di un’impattante tenerezza. È una persona che è stata vittima si una serie di sfortune. Proprio questa serie di negativi accadimenti, fanno del protagonista un soggetto da amare. Amore che non riesce a trattenere gli occhi della sua segretaria nei suoi confronti.

In questa sua ossessione da collezionista, lo stesso protagonista diventa proprietà della collezione medesima. A nulla serve il tentativo di afferrarsi ai suoi sogni. Aperto rimane il conflitto di rimanere bambino nonostante l’essere adulto.

Come sottolinea il produttore stesso di Dark Horse, Ted Hope - <<… è un film tremendamente triste e allegro allo stesso tempo…>>, ma forse è proprio in questo equilibrismo di sentimenti contrapposti che trova il grimaldello per emozionare lo spettatore.

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