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martedì 24 aprile 2012

Storie di bar

Erano cinque i tavolini posizionati in ordine sparso all'esterno. Tre davanti alla vetrata centrale. Due alla sinistra della porta d'ingresso. Comunque tutti rigorosamente di plastica. Il colore era uguale per tutti: bianco. Cambiava solo in base alle macchie di caffè che col tempo si moltiplicavano.


Appena entrati il bancone troneggiava. Due metri e cinquanta di storia. Quella delle parole trattenute dai vari avventori. Dietro di esso un ripiano in vetro custodiva grappe e amari ai più sconosciuti. Nonostante ciò riscuotevano sempre un certo interesse. La cassa era laterale al corridoio che portava alla toilette. Un'unica postazione rialzata, sommersa da caramelle e chewing gum.


I pochi tavoli presenti erano sistematicamente occupati. Le carte planavano su quei piani. Di solito quattro giocatori per un pubblico alle spalle piuttosto cospicuo. La legge non aveva ancora vietato il fumo, per questo la nebbia era sempre presente. Per non parlare dell'odore del tabacco che s'impregnava negli abiti prima per poi passare al sottocutaneo.


Però erano le persone la vera anima di quel locale. Certo la musica del juke box suggeriva delle immagini, ma erano le parole vere pensate o false dette che trasformavano la finzione in realtà. La realtà fatta da un piccolo centro dove tutti sapevano di tutto, ma nessuno sapeva bene di se stesso.


Questo si ripeteva quasi ininterrottamente. A partire dall'alba per arrivare subito dopo a quella successiva. E a comandare le danze di tutto ciò era un barista. Il barista. Ma questa è un'altra lunga storia.

martedì 7 giugno 2011

In fondo a destra

Non serve Maslow, per capire a che livello della piramide inserire questo bisogno. Addirittura va a sfondare il vertice quando l'impellenza si presenta fuori di casa. Tant'è che in molti aree strategiche delle città, i luoghi dedicati all'espletamento sono a pagamento.


In taluni casi spesso il sistema di accesso è automatizzato. Inserisci le monetine e le porte dell'agognato paradiso si aprono. Però possono presentarsi alcuni inconvenienti. Si è sprovvisti di moneta. Le condizioni igienico-sanitarie lasciano alquanto a desiderare. Non si condivide il motivo di dover pagare tal servizio. Oppure per accorpare i diversi pensieri: "non si vuole pagare un servizio, per il quale non si ha nemmeno la moneta contante a disposizione e del quale già si conoscono le scarse qualità".


Ecco che allora non rimane il piano B: il bar. Però anche qui per un senso di vergogna di usufruire di un servizio senza una minima consumazione, scatta l'ordinazione. Ordinazione che viene fatta ancor prima di espletare il bisogno. In questi casi si ordina un caffé del quale non si ha nemmeno voglia, oppure un bicchiere d'acqua consapevoli che avrà delle ricadute immediate sul nostro stato fisiologico.


Avvenuto l'ultimo sacrificio, scatta la domanda retorica. Sì, quella domanda che è statisticamente provato ha come risposta "... in fondo a destra", come se nella progettazione degli esercizi pubblici, prima si stabilisse la posizione del bagno, dopodiché fissata quella, si procedesse alla realizzazione del resto del locale.


A questo punto vorrei fare una richiesta a tutti i baristi e proprietari di bar. Quando vedete entrare una persona "bisognosa", perché voi la riconoscete subito, non state lì a chiederle cosa desidera. Con un elegante gesto, a braccia aperte, in senso di accoglienza, di benevolenza, fatelo accedere a quello spazio tanto ambito. Ve ne sarà eternamente grata.