martedì 24 aprile 2012

Storie di bar

Erano cinque i tavolini posizionati in ordine sparso all'esterno. Tre davanti alla vetrata centrale. Due alla sinistra della porta d'ingresso. Comunque tutti rigorosamente di plastica. Il colore era uguale per tutti: bianco. Cambiava solo in base alle macchie di caffè che col tempo si moltiplicavano.


Appena entrati il bancone troneggiava. Due metri e cinquanta di storia. Quella delle parole trattenute dai vari avventori. Dietro di esso un ripiano in vetro custodiva grappe e amari ai più sconosciuti. Nonostante ciò riscuotevano sempre un certo interesse. La cassa era laterale al corridoio che portava alla toilette. Un'unica postazione rialzata, sommersa da caramelle e chewing gum.


I pochi tavoli presenti erano sistematicamente occupati. Le carte planavano su quei piani. Di solito quattro giocatori per un pubblico alle spalle piuttosto cospicuo. La legge non aveva ancora vietato il fumo, per questo la nebbia era sempre presente. Per non parlare dell'odore del tabacco che s'impregnava negli abiti prima per poi passare al sottocutaneo.


Però erano le persone la vera anima di quel locale. Certo la musica del juke box suggeriva delle immagini, ma erano le parole vere pensate o false dette che trasformavano la finzione in realtà. La realtà fatta da un piccolo centro dove tutti sapevano di tutto, ma nessuno sapeva bene di se stesso.


Questo si ripeteva quasi ininterrottamente. A partire dall'alba per arrivare subito dopo a quella successiva. E a comandare le danze di tutto ciò era un barista. Il barista. Ma questa è un'altra lunga storia.

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