Saliamo sul furgone. Alla guida si mette Antonio. Familiarizziamo subito con la “nostra” squadra. C’è di tutto. Studenti, lavoratori, studenti/lavoratori, ma soprattutto gioia. Gioia per essere lì, per iniziare un’altra serata al servizio altrui. Sembra di essere in partenza per una missione. Una missione di amore. Ci portiamo al di là dell’Adige. Stiamo per entrare in quella zona di Verona che presenta una dichiarata contraddizione. A due passi c’è l’Università, il luogo per eccellenza dedicato al sapere, alla cultura, all’evoluzione dello spirito umano attraverso l’apprendimento. Poco più in là, qualche laterale più avanti, un’area dove l’immigrazione ha trovato insediamento, con non poche problematiche d’integrazione e con qualche furbetto indigeno, che ha ben pensato di affittare a prezzi salati, spazi ridotti ai forestieri di turno.
Facciamo la prima sosta vicino ad una stazione di servizio. Mi informano che questa tappa sarà la più importante, visto che normalmente accoglie un numero significativo di senza tetto. Infatti è così, neanche il tempo di spegnere il furgone ed aprire il portellone laterale per scendere, che iniziano ad avvicinarsi una quindicina di “fantasmi”.
La squadra è ben affiatata, lo si capisce subito da come si muovono per distribuire nel minor tempo possibile, il tanto sospirato cibo. Io e Fred, entriamo subito in questi nuovi ruoli e senza intralciare gli altri, distribuiamo l’acqua e il tè caldo. I ragazzi della squadra sono fantastici. Operano quasi fossero dei professionisti. C’è chi scambia qualche parola, però senza essere invadenti e comunque mantenendo sempre il giusto equilibrio per gestire un’eventuale emergenza.
Si avvicinano altre quattro persone desiderose di mangiare. Al termine di questa prima tappa in totale saranno diciannove. Per lo più sono nord africani o ragazzi dell’Est Europa. Ci sono diversi giovani. Ci sono tante storie nei loro occhi.
Dopo averli fatti mangiare, si passa a distribuire qualche capo per chi è a corto di vestiario. Le richieste maggiori riguardano naturalmente le coperte, d’altronde la lancetta del barometro farà fatica arrivare allo zero questa notte. C’è un freddo che penetra nelle ossa. Solo rimanere fermi in piedi per qualche minuto è una sfida non da poco per il corpo rabbrividito.
Si cerca di rispondere alle diverse richieste, ma dobbiamo ripartire, il giro è ancora lungo.
Facciamo un altro paio di tappe in aree adiacenti. Troviamo meno gente. Gruppi di tre, al massimo quattro persone. Si ripete con naturalezza il cerimoniale. Per ripartire alla volta poi di una spazio vicino all’antico Teatro Romano. Qui troviamo forse l’unico degli homeless che sembra raccogliere la componente poetica di una tale scelta di vita. Una lunga barba bianca, uno sguardo intenso e una voglia di intrattenersi ed intrattenere con la parola. Da lontano lo guardo nel suo gesticolare, mentre Antonio si prende una pausa dal posto guida del furgone e scende per fare quattro chiacchiere con me. Mi racconta della storia architettonica dei luoghi che stiamo calpestando. Mi descrive entusiasticamente le origine romaniche di questa città, indicandomi con l’indice i luoghi più suggestivi di Verona. In questa piacevole descrizione anche il pittoresco homeless che ha trovato dimora all’interno di un sottoscala romanico, appare ben incastonato nella storia. Peccato che siamo nell’anno duemilaedieci e la dignità e l’integrità del singolo non sono ancora completamente rispettate.
Ripartiamo, ormai siamo in giro già da un’ora e mezza. Attraversiamo una laterale del centro per controllare che non ci sia sfuggito qualcuno da aiutare e poi ci dirigiamo nelle vicinanze della tomba di Giulietta. Qui c’è un ultimo gruppo di persone che ci aspetta. Alcuni vengono anche svegliati dal nostro arrivo, effettivamente non è proprio l’orario più consono per cenare, però riaprono volentieri gli occhi quando ci vedono.
Anche qui un’altra situazione di contrasto. Una coppia accovacciata e infreddolita a terra e a fianco a loro un luminoso locale da poco inaugurato. Sembra quasi finzione, ma non lo è. Non ci sono limiti ai paradossi.
Torniamo alla base. E’ mezzanotte e un quarto. Anche per questa sera i giri della Ronda della Carità sono terminati. Stringo la mano ai tutti i componenti della “mia” squadra. Li guardo ad uno ad uno negli occhi. Avrei tante cose da dirgli. Mi limito ad un semplice, ma sentito grazie. Questa sera ho avuto l’onore di fare parte di loro. Questa sera ho avuto il piacere di vedere con i miei occhi che esistono ancora tante brave persone. Non so se quello che andrò a scrivere sarà all’altezza, sicuramente però glielo vorrò dedicare. Se lo meritano con tutto il cuore.
Bravi ragazzi.

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